Premesso che:
in Bosnia Erzegovina, Stato nato 30 anni fa dall'implosione della Jugoslavia, si moltiplicano i segnali d'allarme;
il Paese costituisce in sé una "piccola Jugoslavia", con le componenti serba, croata e musulmana, e ne riproduce le stesse linee di frattura;
dopo gli accordi di Dayton, negoziati nel 1995 sotto l'egida degli Stati Uniti per mettere fine alla guerra più crudele vissuta dall'Europa dopo il 1945, la Bosnia ha mantenuto un equilibrio fragile che oggi è seriamente compromesso;
la minaccia è quella del collasso di uno Stato basato su due entità: da un lato la parte serba (Republika Srpska), dall'altro la federazione croato-musulmana;
il leader serbo di Bosnia, Milorad Dodik, avanza da anni rivendicazioni nazionaliste. Ora tali minacce hanno assunto carattere separatista con inevitabili conseguenze sul futuro assetto del Paese;
le rivendicazioni nascono come rappresaglia all'introduzione di una legge che vieta il negazionismo del genocidio di Srebrenica e la glorificazione dei criminali di guerra;
nella prima metà di dicembre, il Parlamento della Republika Srpska, ovvero l'entità politica dei serbi di Bosnia, dovrebbe discutere le norme che spianano la strada alla "riconquista" da parte delle autorità di Banja Luka delle competenze su fisco, giustizia, sicurezza e difesa, da sottrarre allo Stato centrale, in quella che molti considerano una secessione di fatto;
Dodik ha inoltre assicurato di avere l'appoggio di Russia e Cina e di poter contare inoltre sul sostegno di Orban e del leader turco Erdogan, che avrebbe già assicurato a Sarajevo il suo appoggio all'integrità della Bosnia;
recentemente l'alto rappresentante UE per gli esteri e la politica di sicurezza, Borrell, ha dichiarato che qualcuno lavora in Bosnia per minare "26 anni di pace e stabilità";
anche la NATO ha espresso "preoccupazione" per la situazione bosniaca e il ministro tedesco per gli affari europei, Michael Roth, ha evidenziato che la situazione in Bosnia rappresenta "una minaccia per la pace e la stabilità dell'intera Europa";
è del tutto evidente che, annunciando il ritiro dei suoi rappresentanti dalle istituzioni bosniache comuni e l'intenzione di creare organismi separati per gestire giustizia, tassazione, sanità e perfino un proprio esercito, Dodik sta provocando la disintegrazione della Bosnia Erzegovina come uscita dagli accordi di Dayton del 1995,
si chiede di sapere:
quale valutazione abbia fatto il Governo italiano rispetto alla politica di penetrazione nell'area dei Balcani occidentali dell'influenza di soggetti quali i Paesi a guida sovranista in rapporto coordinato con l'attivismo espansionista della Russia, nonché di potenze come la Cina, che considera l'area come una porta d'ingresso all'Europa, e la Turchia che esercita pressioni attraverso il controllo della rotta balcanica;
quali urgenti iniziative intenda prendere, autonomamente e in seno alle istituzioni europee, al fine di consentire alla Bosnia Erzegovina di proseguire un processo di pacificazione nell'ambito della complessiva integrazione europea dei Balcani occidentali auspicata dalla UE, disinnescando i pericolosi propositi secessionisti palesati dal leader bosniaco Milorad Dodik;
se non ritenga indispensabile, anche alla luce di un evidente primario interesse nazionale, agire sugli organismi UE e nelle sedi dell'Alleanza atlantica per focalizzare l'attenzione su un'area geopoliticamente strategica e sensibile, accelerare le progettualità della Western Balkan initiative, abbandonando reticenze e timidezze e, in conclusione, se non sia necessario anche un pronunciamento formale del Governo italiano.